Mi andò bene, perché per una serie di circostanze insperate che ci vorrebbe un capitolo per chiarire mi trovai di sobbalzo a fare l'insegnante di cattedra, anche se supplente, alla mia scuola. Da allievo discolo ad insegnante il salto era troppo grande; infatti anche questa avventura proseguì solamente per l'annetto a disposizione. In quell'anno, super, detti tutto me stesso ma non bastò a rifarmi della mia reputazione scolastica precedente. Tuttavia mi servì molto perché scoprii una nuova materia, anche se non ne ero proprio digiuno: la tarsia, tecnica odiata durante la frequenza scolastica per il motivo che le doti più importanti richieste per intarsiare sono la pazienza e la grande precisione, qualità che possedevo ma non le sfruttavo nelle lezioni di tarsia, dato che il mio interesse che era rivolto maggiormente alla disciplina dell'intaglio.
Il primo approccio da insegnate fu abbastanza positivo con gli allievi, anche se la materia della tarsia io francamente non la conoscevo approfonditamente. Quindi mi trovai ad insegnare qualcosa per cui non ero adeguatamente preparato. Le varie tecniche, la storia, i segreti non li conoscevo approfonditamente; mi misi in moto con qualche libro, interpellando mio zio e osservando gli artigiani del posto.
Questa materia, la scoprii più approfonditamente durante e successivamente il periodo da insegnante studiandomela da autodidatta.
La cosa che mi ha colpito di questa tecnica fu la sua importanza nelle arti nel periodo tra la metà del quattrocento ai primi decenni del cinquecento. I quadri prospettici non avevano lo stesso significato degli intarsi applicati al mobile come pura decorazione, ma ogni iconografia, anche se di legno, coinvolgeva la filosofia, la matematica, la prospettiva, che erano i capisaldi del pensiero rinascimentale.
Saper comprendere in maniera critica quest'arte fece passare in secondo piano il dover essere “pignoli”, che era la principale prerogativa durante il percorso da “studentello”.